Giornali e riviste

LIBER I trimestre 2022

 

 

 

 

 

 

10/12/2017 Corriere della Sera

Milano, quelli dell’albero last minute (quando i pini non erano di plastica)

Il vivaista dei milanesi Francesco Ingegnoli e le richieste stravaganti dei clienti ritardatari: da chi si è dimenticato di farlo a chi lo chiede per la notte del 24

di Marta Ghezzi

L’anno non lo ricorda, è passato diverso tempo, i particolari invece sono ben impressi nella memoria. Soprattutto le prime parole della signora: «Aiuto, mi sono dimenticata di fare l’albero». Era un 24 dicembre, sette e mezza di sera. Al vivaio dei Fratelli Ingegnoli era rimasto solo Francesco Ingegnoli. «In ritardo per la cena della vigilia dai miei», puntualizza, «stavo chiudendo quando è entrata la cliente», ricorda. Disperata, quasi in lacrime. In ingresso c’era un abete, l’ultimo. «L’avevamo decorato, lei lo ha visto e mi ha implorato». Un albero di quasi due metri, che nell’auto della signora non entrava. È andata a finire che Ingegnoli lo ha caricato su un furgoncino e l’ha seguita fin sotto casa, in viale Regina Giovanna. «E siccome non stava neppure in ascensore, gliel’ho portato a piedi per le scale. Abitava all’ultimo piano, il quinto!».

Sospiro di entrambi. C’è nostalgia nel ripercorrere aneddoti e storie. Nostalgia dei tempi d’oro, prima dell’avvento degli alberi sintetici. «Quando la pianta vera era la protagonista della festa», rimarcano. L’azienda ha una storia che attraversa tre secoli. Fondata nel 1895, in corso Buenos Aires. «Lì c’erano il negozio e la casa dei nonni, mentre vivai e serre erano intorno alla Stazione Centrale. Siamo rimasti nel corso fino al 1997». Natali magici, da tremila abeti. «Nostro padre li disponeva in fila in cortile, il colpo d’occhio era incredibile, sembrava un bosco. E quel bosco cambiava perfino il profumo nell’aria: c’era odore di aghi e natura».

L’albero vero sta comunque tornando di moda. «Abbiamo appena ordinato a tutta velocità nuovi pini, la prima partita, circa trecento esemplari, è andata esaurita. Prendiamo una varietà, la normandiana, che non perde gli aghi». Alberi, comunque, destinati a una fine ingloriosa. Ribatte subito. «La plastica inquina di più». Poi spiega: «I grandi alberi, da quattro metri e oltre, non li chiede più nessuno. Gli altri, di dimensioni più ridotte, sono coltivati apposta». Non è una vera risposta. «Noi li riprendiamo, dopo il sei gennaio apriamo il pronto soccorso, non li salviamo tutti, ma ne recuperiamo molti». E lei che albero fa? Ride. «Il mio? Già venduto due volte. È la storia del calzolaio con le scarpe bucate…».

 

 

09/12/2017 La Repubblica

Cavolo, che orto!

Quasi scomparsi i cataloghi botanici, fra i superstiti, una piccola meraviglia

di Paolo Pejrone

Se il giardiniere prudente e avveduto ha tutta la mia ammirazione, quello un po' troppo timorato e indeciso riesce in certi casi ad irritarmi.

Sarà che il piemontesissimo esageruma nen ( non esageriamo), con il suo sbandierato buon senso, alla lunga può anche assopire e smorzare entusiasmi e speranze: in giardino più che mai lo slancio, l'esuberanza, il coraggio, l'ironia e a volte anche la massiccia quantità possono diventare assolutamente essenziali. E cedere alle tentazioni ogni tanto addirittura auspicabile: sarà il Natale alle porte, ma di fronte al nuovo bellissimo catalogo dei Fratelli Ingegnoli ( Catalogo Guida 2018, Fratelli Ingegnoli Milano, 5,90 euro, informazioni su www. ingegnoli. it) anche un giardiniere attempato come me vorrebbe che ci fosse davvero qualcuno ad esaudire i suoi desideri.

Desideri un po' ingordi, a dire il vero: quella di Ingegnoli è una tale wunderkammer botanica, un tale tsunami vegetale da lasciare quasi storditi. C'è tutto e per tutti i gusti: consiglio davvero di procurarsene una copia.

La grande novità di quest'anno sono le piante tartufigene, opportunamente trattate con i miceli del tartufo per favorire con un po' di pazienza ( dicono almeno quattro anni) raccolti tra i più preziosi: lecci e roverelle, carpini e noccioli che l'Università di Perugia ha certificato uno per uno.

Sulle piante da orto inutile dire: le proposte d'Ingegnoli fioccano come al solito. Segnalo in particolare una divertente raccolta di ravanelli colorati, viola, rossi, bianchi e gialli, da seminare già con i freddi di fine inverno, un'altrettanto variopinta collezione di cavolfiori, un turbillon di cavoli cappucci e di verze, peperoni per pagine e pagine e la ormai rara barba di frate.

E che dire dello zenzero, dei rari semi del cappero o della decina di varietà di kiwi, con addirittura la Actinidia kolomikta, nota non per i frutti ma per le sue bellissime foglie. Oltre naturalmente ai grandi classici come i kaki, che fu proprio Ingegnoli è stato il primo a portare in Italia nella seconda metà dell'Ottocento, o il gelso della Regina, un'antichissima e rara varietà che produce frutti non troppo dolci e per nulla stucchevoli.

Nel catalogo sono anche proposti degli ibridi interspecifici pressoché sconosciuti: incroci tra albicocchi, susini e ciliegi che non so quanto siano lodevoli per gusto, ma che certamente hanno molto di pop e varrebbe la pena provare.

Le sementi da prato poi sono un vero e approfondito campionario, con miscugli particolarmente utili per consolidare le scarpate. Il tutto corredato da indicazioni complete ma essenziali e da un sapiente calendario delle semine: non solo vendita dunque, ma anche una didattica facile, immediata e soprattutto senza tante pretese e cedimenti alle mode.

Ed è proprio per questo che io penso che sia doveroso farlo conoscere. Un buon catalogo in certi casi è più utile per l'appassionato di qualsiasi testo. Quello proposto da Ingegnoli è un giardino pieno di novità ed allegria, un giardino degli esperimenti, che era poi anche un vecchio tema dell'orto: quell'insieme di cose speciali che mai come oggi, con tanta semplicità e concretezza, possono in qualche modo renderci meno succubi dell'uniformità di gusti e di profumi.


Marsicalive.it 23 agosto 2017

Il grano fucense dopo il prosciugamento? Alto fino a due metri e rendeva il doppio degli altri


 

17/05/2016 Il Giorno

La "Casa" degli agronomi Ingegnoli. Dai vivai d’avanguardia alla stampa

La storia del palazzo di corso Buenos Aires 54 diventato sede del Giorno

di PAOLO GALLIANI

Come appariva l'attuale sede de Il Giorno

Dicono che rovistare nei ricordi e mescolare le stagioni della vita serva ad allungare l’esistenza. E per gente che si occupa di piante, fiori e bulbi, diamine se deve essere vero! Curioso leggere di Gramsci che dal carcere scriveva alla figlia Tania nell’aprile ’29 raccomandandole di acquistare “4 o 5 semi da Ingegnoli, in piazza Duomo o in via Buenos Aires” perché poi potesse piantarli nel quarto di metro quadrato dove gli era permesso di stare.

Il nome di quegli agronomi milanesi lo citava anche Verdi in una lettera del marzo 1888, perché gli avevano fatto recapitare dei deliziosi kaki e lui li ringraziava per la gentilezza. Già, la gratitudine. Sui bigliettini di Natale del 1900, assieme agli auspici per il nuovo secolo, l’avevano espressa anche i dipendenti della “Fratelli Ingegnoli” che in quegli anni si era sistemata in una bella sede chiamata “Casa”, poco fuori Porta Venezia. «Speriamo che arrivi la luce elettrica», scrivevano e si scopre così che nei magazzini delle sementi e dei cereali si lavorava ancora con le lampade a petrolio. Arrivò eccome la luce elettrica. Arrivarono anche i “Cataloghi” che proponevano all’Italia unificata la vendita per corrispondenza di ogni tipo di vegetale. E arrivò anche la consacrazione della “Casa”, primo laboratorio milanese del vivaismo e del verde ornamentale. Scampoli di una storia di famiglia fatta di generazioni, eredi, nomi ripetuti (Francesco e Paolo), tenuti insieme da un fil rougeinterminabile, a cominciare dal capostipite, Francesco Ingegnoli, che aveva lasciato Sesto Calende per Milano e nel 1789 aveva aperto un primo vivaio nella zona dell’attuale Centrale.

Un predestinato: nell’ordinamento di allora, “Ingenuiles” significava “uomini liberi che coltivano la terra”. E fu il nipote Francesco a coinvolgere i fratelli Vittorio e Paolo: rilevare l’attività della francese Burdin che aveva aperto vivai in mezza Milano e promosso la cultura delle piante ornamentali in un mondo ancora prettamente agricolo. Come diventare grandi dopo l’adolescenza: fare i conti con le finanze, allearsi con gli istituti di credito, andare davanti a un notaio e costituire la società “Fratelli Ingegnoli”. Poi il passaggio decisivo, nel 1894, con l’acquisto di un’area al 54 dell’allora corso Loreto, poi diventato corso Buenos Aires. Idea coraggiosa: riunire in una grande sede abitazioni di famiglia, uffici, reparti di spedizione, serre. Con tanto di choc visivo: un palazzo austero, perfino eccessivo in una Milano che finiva ai Bastioni perché lì era ancora campagna aperta.

La sua inaugurazione aveva provocato ammirazione ma anche sconcerto. Poco male. Per tutti era la “Casa” e lo fu davvero per i fratelli Ingegnoli: per Vittorio, che aveva frequentato l’Accademia di Brera; per Francesco, vivaista e socialista convinto. E per Paolo, che alla morte del conte Aldo Annoni, aveva rilevato i suoi terreni e avviato l’attività immobiliare, perché urbanizzare l’area tra Settembrini e corso Loreto avrebbe sviluppato la domanda di verde pubblico e il gusto per gli orti e i giardini decorativi. Un colpaccio, con nuove lottizzazioni, non ultima la costruzione dell’Hotel Diana. E al centro di tutto, la “Casa”, 4 piani, il tocco glamour delle terrazze interne, il lato su via Ponchielli dei magazzini per le sementi, presto arricchito di un piano superiore e di una sorprendente galleria d’arte aperta al pubblico.

Fino alla storia recente, con l’ultimo erede, Francesco Ingegnoli (nella foto sopra), a prendere il testimone da zio Tomaso e papà Paolo: l’abbandono di corso Buenos Aires dopo cent’anni per la sede in via Salomone ma anche l’apertura di un Garden Center in via Pasubio, su un terreno della Feltrinelli. Dualismo perfetto, ma non eterno. E adesso che gli Ingegnoli sono nella sola periferia sud-ovest, pare uno sgarbo alla loro storia e all’impegno che in tanti avevano sottoscritto, anche in Comune, perché una simile azienda potesse continuare ad avere una presenza in centro. Nell’attesa, il pensiero di Francesco Ingegnoli torna spesso lì, alla “Casa”, a quel palazzo ottocentesco allineato lungo il vecchio viale Loreto, alle finestrature della facciata, alle balaustre e ai timpani dei piani alti. Quello stesso palazzo che in una sorta di catarsi, oggi è diventata la nuova sede de Il Giorno. «Dobbiamo tornare in centro», ripete Francesco. E scomoda ancora una volta l’utopia visionaria di una famiglia di agronomi che a Milano aveva sognato di vendere granaglie e sementi: finì per riempirla di ossigeno e clorofilla.

 


19/04/2016 Blogo

Riciclo e Coltivo, 175 orti verticali nelle scuole milanesi

Educare le giovani generazioni al riciclo e alla conoscenza di ciò che cresce nella terra, sono questi i principali obiettivi di Riciclo e Coltivo il progetto che vede coinvolti Milano Ristorazione, Comune di Milano, Corepla e Amsa e che porterà 175 orti verticali nelle scuole milanesi.

L’idea nasce per ridare nuova vita alle stoviglie di plastica, ancora in uso nei refettori scolastici delle scuole d’infanzia. Dopo essere finite nella raccolta differenziata, le stoviglie vengono riciclate e diventano nuovi oggetti come lo scaffale a più ripiani, i vasi e l’annaffiatoio. Anche i rifiuti del cibo avanzato diventano materia per arricchire il compost che farà crescere le piante aromatiche le cui sementi sono fornite da Ingegnoli, storica azienda florovivaistica milanese.

“Con l’idea dell’orto verticale siamo riusciti a realizzare un prodotto utile per le attività educative dei bambini delle scuole dell’infanzia e nel contempo a compiere un’importante azione ecologica trasformando i piatti di plastica in un nuovo oggetto d’uso. Un progetto innovativo e in armonia con le esigenze ambientali di una grande città come Milano”.

Gli scaffali di plastica e tutti i materiali del progetto sono stati ottenuti dal riciclo di 12 tonnellate di plastica e ora sono pronti ad accogliere le piantine di Basilico, Prezzemolo, Maggiorana, Misticanza, Ravanello, Lattughino riccio, Pisello nano, Spinacino, Pomodoro. E chissà che non nasca anche qualche futuro agricoltore!


 

21/07/2015 Il Piacenza

Ingegnoli, titolare dello storico vivaio che riforniva Giuseppe Verdi, in visita a “Semi di carta”

La mostra “Semi di carta: cultura agraria a Piacenza tra Otto e Novecento”, ha avuto la scorsa settimana un visitatore d’eccezione: Francesco Ingegnoli, titolare dello storico stabilimento vivaistico Fratelli Ingegnoli di Milano

La mostra “Semi di carta: cultura agraria a Piacenza tra Otto e Novecento”, ha avuto la scorsa settimana un visitatore d’eccezione: Francesco Ingegnoli, titolare dello storico stabilimento vivaistico Fratelli Ingegnoli di Milano, accompagnato dalla curatrice dell’esposizione Daniela Morsia ha preso visione del materiale storico- documentario esposto, soffermandosi in particolare sui pannelli dedicati alle pubblicazioni e ai giornali agrari editi a Piacenza.

Alcuni pannelli della mostra presentano proprio le copertine dei cataloghi commerciali del vivaio Ingegnoli, presso il quale si rifornivano, in particolare nel periodo a cavallo del Novecento, molti agricoltori piacentini, tra cui Giuseppe Verdi. Francesco Ingegnoli ha rimarcato il valore dello sviluppo agrario nel nostro territorio, sottolineando l’importanza dei rapporti intercorsi tra l’area milanese e quella piacentina non solo in ambito commerciale e agricolo, ma anche in materia di scambi culturali. In particolare, ha ricordato la figura del piacentino Giuseppe Soresi, per tanti anni direttore della Cattedra ambulante di Milano.

Nell’occasione è stata donata all’imprenditore la riproduzione della copertina di un catalogo storico Ingegnoli del primo Novecento, “ricoperto” di semi. E’ il risultato di un laboratorio, coordinato dalla professoressa Annarita Volpi della Società piacentina di Scienze Naturali, svoltosi nel mese di giugno nel cortile grande della Passerini Landi, con gli alunni di alcune classi delle scuole elementari Alberoni e Mazzini. A consegnare l’elaborato è stato Fausto Zermani, presidente del Consorzio di Bonifica di Piacenza che, in collaborazione con la Biblioteca, aveva organizzato l’iniziativa didattica, inserita nel calendario della settimana nazionale della bonifica e dell’irrigazione. “Il capitolo del controllo delle acque – ha sottolineato Zermani – da sempre rappresenta un punto importante della storia agraria piacentina. Grazie al lungimirante interessamento di alcuni agronomi ed agricoltori piacentini, citati nella mostra, sono state finanziate e realizzate in Val Tidone ed in Val d'Arda le due dighe ad uso irriguo. La corretta gestione della risorsa idrica, unita a buone pratiche, a una piena conoscenza del terreno e alla mirata selezione delle varietà agricole, ha reso la nostra provincia un modello da seguire, addirittura a livello nazionale, per la produzione di quelle eccellenze che ancora oggi ci rappresentano. L'agricoltura piacentina, di antiche tradizioni, ha operato scelte importanti e all'avanguardia per quei tempi e questa mostra, che nè è la testimonianza, merita senz'altro il riconoscimento che sta riscuotendo”.

Da Sesto Calende, sulle sponde del Ticino, la famiglia Ingegnoli, alla fine del Settecento, si trasferì a Milano per avviare una nuova attività industriale e commerciale legata al settore agricolo. Nell’area, ora occupata dalla stazione centrale, gli Ingegnoli iniziarono a coltivare piante da frutto altamente selezionate, ma anche sementi da orto e per praterie, specializzandosi nella selezione genetica. Botanici altamente qualificati iniziarono a collaborare alla scelta e alla selezione dei prodotti importati da tutto il mondo. Nel 1879 i giovanissimi fratelli Ingegnoli, Francesco, Vittorio e Paolo acquisirono lo storico stabilimento dei Burdin e nel 1884 i tre fratelli fondarono la società commerciale in nome collettivo Fratelli Ingegnoli, destinata a diventare nel giro di pochi anni uno dei più prestigiosi stabilimenti agro-botanici europei. Il vivaio, trasferito in corso Loreto 45, divenne meta di appassionati, coltivatori e giardinieri, professionisti e dilettanti. Gli Ingegnoli furono fornitori di diversi agricoltori piacentini, tra cui anche Giuseppe Verdi. I fratelli milanesi furono anche tra i primi a comprendere l’importanza dei cataloghi commerciali, ai quali riservarono un’attenzione particolare con copertine particolarmente suggestive.

 


 

 

10/04/2015 Corriere della Sera

Asparagi e rose, il giardino 
di Casa Verdi in piazza Buonarroti

Il percorso sarà aperto da lunedì 13 aprile. ingresso libero con accesso all’archivio, dove sono esposte lettere autografe e testimonianze del suo amore per la natura

di Giuseppina Manin
 
 
Giuseppe Verdi nell’amata tenuta di Sant’Agata nel PiacentinoGiuseppe Verdi nell’amata tenuta di Sant’Agata nel Piacentino
 

Al Maestro piacevano gli asparagi. Quelli di Argenteuil, dalle punte tenere e rosate, perfetti per esser cosparsi di burro e parmigiano come si usa nelle sue terre. In una lettera dell’ottobre 1888 indirizzata ai Fratelli Ingegnoli, allora siti in via Vivaio, Giuseppe Verdi, musicista di genio e giardiniere di talento, ne prenota «duecento ceppi» per il suo orto di Sant’Agata. «200 di Argenteuil, più 400 di Ulma o di Lombardia, più grossi e più verdi», precisa. Ordinazione storica, rimasta agli atti del vivaio milanese. E gli stessi asparagi, sempre di Ingegnoli, guarniranno ora alcune aiuole di Villa Necchi Campiglio. Mentre nel cortile e nei giardini di Casa Verdi, in piazza Buonarroti, verranno sistemati limoni, peri e meli. E siepi di lauroceraso alternate a rose «Malmaison», le preferite di Giu-seppina Beauharnais e anche del Maestro, che le coltivava con passione e ne spedì un mazzo anche al Manzoni. 
«Verdi Verde», omaggio alla passione segreta del compositore simbolo della nostra musica nel mondo, è il titolo della mostra che si apre lunedì, ideata da Antonio Magnocavallo, consigliere di Casa Verdi (di cui ha da poco lasciato la presidenza) con Francesco Ingegnoli, presidente degli omonimi vivai e il sostegno del Credito Valtellinese. A curarla lo scrittore Andrea Kerbaker, contributi della musicologa Franca Cella e della paesaggista Marta Isnenghi. 

«Perché Verdi - avverte Magnocavallo - non è stato solo il sublime musicista che tutti conosciamo ma anche un agricoltore di grandi capacità, come testimoniano i molti poderi da lui gestiti nei dintorni di Sant’Agata, e un giardiniere curioso, socio onorario della Società Orticola di Lombardia». Così, incrociando il tema di Expo, la mostra celebra nella Casa di riposo voluta dal Maestro e da lui definita «la mia più bella opera» l’aspetto filantropico e botanico di Verdi. «Uno sperimentatore anche in questo», assicura Magnocavallo. «Ha intrapreso coltivazioni nuove, per esempio quella dei cachi, sconosciuti in Italia fino a metà ‘800». Verdi verdissimo. Innamorato della natura e della terra fino a trascurare la composizione. «Il suo amore per la campagna - scrive la moglie Giuseppina Strepponi, che con lui riposa nella cripta di Casa Verdi - è divenuto mania, follia, furore... Si alza al nascere del giorno per andare a esaminare il grano, il mais, la vigna. Rientra morto di fatica e allora come fargli prendere la penna in mano?». 

«Un aspetto poco noto del Maestro da scoprire nel più gradevole dei modi, attraverso delle passeggiate in splendidi giardini», avverte Andrea Kerbaker. «Un modo per ricordare ai milanesi il valore del verde e della natura in una città che quei valori spesso dimentica». Tra le «sbadataggini» anche quella istituzionale, la mancata autorizzazione alla sistemazione (a carico Ingegnoli) delle aiuole di piazza Borromeo. «Il progetto era di ridisegnarle con le piante predilette da Verdi, ma il Comune non ha ancora trovato il tempo di concedere il permesso. Del resto, difronte a tanti problemi dell’Expo, questo è ancora il minore dei mali», commenta amaro Magnocavallo. Verdi, che come scriveva Giuseppina Strepponi, «Andava a parlare con gli alberi e i fiori», ne sarebbe rattristato.

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